ARTSVIK (1984) – Cantante armena
(Fonte: Jazz Parking)
E’ Tito Livio che nel 207 a.C. testimonia per primo la presenza di questo ponte. Ricostruito dal censore M. Emilio Scauro nel 109 a.C. il ponte crollò nuovamente nel 312 quando, per ordine di Massenzio, le estremità vennero sostituite da passerelle lignee. Più volte distrutto e ricostruito, il Ponte Milvio, fortezza per il controllo dell’accesso al versante nord della città di Roma, fu a più riprese restaurato.
Nel 1805, sotto Pio VII, il Valadier traforò la torre, consentendo il percorso diretto sino alla riva e disegnò il piazzale antistante. Attraversato nel corso dei secoli da illustri personaggi, il ponte fu ancora al centro di un’azione bellica quando nel 1849 i Garibaldini vi contrastarono l’avanzata francese.
Secondo alcune fonti, di qui passarono agli inizi del 300 d.C. Tiridate III, re di Armenia e San Gregorio l’Illuminatore, patriarca degli Armeni, per portare a Roma la loro testimonianza di cristianità.
Situato nella città di Alaverdi, nella provincia di Gugark, questo ponte sul fiume Debed venne costruito per volere della Regina Vavane nel 1192 in memoria del defunto sovrano Gugark Abbas, suo consorte. Il diametro dell’arco in muratura raggiunge i diciotto metri e le pile di sostegno poggiano direttamente ai lati delle acque del fiume. Questo antico ponte, finora molto ben conservato, porta ancora i segni delle ruote dei carri trainati dai muli che per decenni lo hanno calpestato e ancora oggi ai lati dell’impalcato sono ben visibili alcune figure scultoree raffiguranti leonesse stilizzate.
Su una delle sponde si erge un khachkar, la tradizionale croce armena di pietra, che porta la stessa data di costruzione del ponte e che molto probabilmente venne eretta in funzione di pietra miliare e a protezione dei viandanti.
Il ponte Allahverdi-Khan o Syosepol (1602 d.C.), è stato costruito nella città di Isfahan per volontà dello Scià Abbas il Grande sul fiume Zayandeh Rud. Esso collega la città di Isfahan col rione armeno di Nor Giulfà (Nuova Giulfa), insediamento creato dallo scià Abbas che, colpito dalle capacità creative degli artigiani armeni, spostò pietra su pietra, all’interno dei suoi domini, l’antico villaggio di Giulfa con tutti i suoi abitanti. In prossimità del ponte gli armeni celebravano il Battesimo della Croce, e tuttora, all’inizio dell’estate, festeggiano il Vartavar (festa dell’acqua), in occasione della quale la tradizione vuole che tutti i passanti vengano spruzzati d’acqua.
Il ponte, costruito a forma di diga, è dotato di due ordini di porticati, e offre zone d’ombra riparate dal sole e dai venti prevalenti. il ponte Allahverdi-Khan è lungo 300 metri e largo 14. Viene chiamato anche Syosepol per le sue 33 arcate.
L’Associazione Zatik ha organizzato, grazie alla tenacia dell’arch. Vahè Vartanian, questa giornata per onorare in modo non formale, ma solenne, la memoria del genocidio armeno.
Una giornata patrocinata dalla memoria del genocidio, dal suo insegnamento per tenere a bada ogni forma di violenza. Insegna l’Ecclesiaste che c’è un tempo per ricordare e un tempo per dimenticare, dove il dimenticare non è la rimozione, ma l’elaborazione del ricordo, per renderlo attore del presente e del futuro. Ed è questo il senso della nostra iniziativa.Perché da Ponte Milvio?Perché da qui, nel 313 dopo Cristo, inizia una storia all’insegna dell’emersione di masse di umili, i cristiani, che vengono riconosciute; è la storia della rottura di una solitudine. I ponti sono l’emblema della rottura di una solitudine; solitudine che per gli armeni è stata (ed in parte è) geografica, culturale, religiosa. Una somma di solitudini che ha permesso di consumare un genocidio e di non nominarlo, non riconoscerlo, negarlo.
Con il gemellaggio fra ponti si vuole qui ricordare la necessità del riconoscimento e del confronto con le altre culture. Ciò non solo non pregiudica le varie identità, non le annulla, al contrario dà loro valore.
La storia del genocidio armeno insegna che esso non fu frutto delle diversità, ma frutto della lotta per il potere, fu la lotta per il potere ad armare la mano facendosi scudo della religione, usando come pretesto la diversità religiosa. Ma questo gli umili sanno riconoscere a naso, senza bisogno di infingimenti. Così seppero fare quei cittadini turchi che aiutarono gli armeni durante il genocidio, la cui responsabilità non ricade sul popolo turco, ma su un pugno di uomini politici in lotta per il potere. Come è accaduto nella Germania di Hitler, la colpa dei padri non ricade sui figli, ma è anche bene che i figli prendano da essa opportune distanze.Questa nostra iniziativa di incontro e scambio culturale vorrei fosse dedicata alle donne, a quelle ragazze, alle madri, sorelle, mogli, che furono le principali vittime del genocidio del 1914 e che contemporaneamente hanno saputo essere, e sono, le principali costruttrici di ponti, di messaggi di pace, di messaggi di vita. Grazie per essere intervenuti e ci auguriamo che analoghe iniziative siano al più presto celebrate su più ponti in Europa e nel Mediterraneo, così come testimoniano le positive accoglienze alla proposta di Zatik da parte del Comune di Parigi e di Siviglia.